venerdì 23 dicembre 2011

da "L'uccello che girava le viti del mondo" di Murakami Haruki.

"Il padre aveva la ferma convinzione che per condurre una vita da persona rispettata nella società giapponese fosse necessario avere il massimo dei voti a scuola, e farsi largo a gomitate. Lo pensava sul serio.
Nei primi tempi del nostro matrimonio, quei discorsi li avevo sentiti direttamente dalla sua bocca. Tanto per cominciare, la gente non era tutta uguale, diceva. L'uguaglianza era qualcosa che si insegnava a scuola come principio, ma erano tutte sciocchezze. Il Giappone strutturalmente era un democrazia, ma nello stesso tempo era una società severa, divisa in classi, dove vigeva la legge del più forte. Se non si diventava parte dell'élite, non aveva senso vivere in questo paese. Si andava semplicemente e letteralmente a finire dentro la macina, e si veniva schiacciati. per questo la gente si sforzava di innalzarsi almeno di un gradino. Era un desiderio del tutto sano. Se la gente perdeva quel desiderio, il paese non poteva che peggiorare. Riguardo a queste opinioni di mio suocero io non facevo commenti, tanto più che lui non aveva mai chiesto il mio parere o le mie impressioni. Si era sempre solo limitato a esprimere la propria granitica e incrollabile fede.
D'ora in poi dovrò vivere in questo ambiente respirando la stessa aria di gente come costui, pensavo io in quelle occasioni, questo è solo il primo passo, chissà quanti altri episodi del genere ci saranno. A questo pensiero mi sentivo pervadere fin nel midollo da un senso di spossatezza. Era una filosofia terribilmente vuota e superficiale. mancava di considerazione nei confronti delle persone sconosciute che formavano le vere fondamenta della società, e anche nei confronti della natura interiore e della coscienza della gente. Mancava di fantasia, e di ogni forma di dubbio. Eppure quell'uomo era fermamente, profondamente convinto di essere nel giusto, e qualunque argomento io avessi portato, non avrei potuto smuovere la saldezza della sua fede."