"[..] ma nel suo virtuosismo si intravedeva qualcosa di stranamente freddo e inespressivo, una sorta di disaffezione, ben diversa dall'equilibrio di un maturo calligrafo. In altre parole si percepiva quel senso del sé tipicamente moderno che impedisce di compiacersi troppo della propria abilità, e si notava inoltre l'assenza della volgarità e del cinismo così comuni trai virtuosi del pennello. [..]
[..]
Come starà adesso
il mio signore?
Perché i miei passi non turbino
la tua quiete sublime,
mi interrogo su di te da lontano.
[..] "
giovedì 14 ottobre 2010
lunedì 11 ottobre 2010
venerdì 8 ottobre 2010
da La macchia umana, di P. Roth
"Perché, dunque, dopo avere trasformato l'esperimento di un isolamento radicale in un'esistenza ricca e piena, perché, senza preavviso, dovrei sentirmi solo? Cosa mi manca? Quello che è stato è stato. Impossibile attenuare il rigore, impossibile annullare le rinunce. Cosa mi manca, precisamente? Semplice: la cosa per la quale avevo sviluppato un'avversione. La cosa alla quale avevo voltato le spalle. L'impegolarsi nella vita."
lunedì 4 ottobre 2010
da La vita dopo, di D. Antrim
"La maggior parte delle storie di mia madre - i racconti rabbiosi che mi riferiva, prima e dopo aver smesso di bere- sulla sua vita con mio padre contenevano, trovo, un'idea di miglioramento di sé attraverso la pratica di accumulare intuizioni sugli altri: se diamo un nome alle colpe di coloro che ci hanno fatto soffrire, saremo protetti dal dolore; se riusciamo a raccogliere prove sufficienti a giustificare la nostra rabbia, supereremo la vergogna; se proviamo pena per chi ci ha tradito, allora non saremo stati traditi, maltrattati, fraintesi o abbandonati. Ma cosa succede quando il calvario dell'abbandono è -come ritengo sia stato per mia madre, e per me insieme a lei- la vita stessa?"
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